Tutte le filosofie e le religioni che tentano “di sollevare lo sguardo verso l’alto per osare di raggiungere la verità dell’essere” (Giovanni Paolo II) possono essere suddivise in tre grandi correnti: monismo, pluralismo e dualismo.
Prima di analizzare questi tre termini filosofici, bisogna cercare di definire la parola Essere. In estrema sintesi, l’Essere è il fondamento dell’universo fisico e di un ipotetico mondo sovrasensibile ed immateriale. Questo connubio tra i due mondi lo indicheremo con il termine “Tutto”. L’Essere è il fondamento del Tutto, al di fuori di esso non c’è nulla. Esso è causa, origine e fine di ogni cosa. L’Essere è l’unica sostanza dotata di esistenza reale.
Il Pluralismo
Secondo il pluralismo, l’Essere è costituito da una pluralità di elementi che lo fondano in quanto sostanze dotate di esistenza autonoma. In un sistema pluralista, sono presenti molteplici entità che determinano la struttura e le caratteristiche del Tutto. Queste entità hanno un’esistenza separata ed indipendente le une dalle altre. Tali concezioni sono le più antiche. Ad esempio, le religioni politeiste, in cui le forze della natura e quelle del pensiero venivano rappresentate da divinità, sono pluraliste.
Il Dualismo
Il dualismo è un tipo particolare di pluralismo che considera dotati di esistenza due soli principi. In un sistema dualistico sussistono coppie di opposti che derivano da due piani
(ontologicamente) separati e tutto è riconducibile a due soli generi di sostanze. Il dualismo si basa sul concetto di dicotomia. La dicotomia è la divisione di un’entità in due parti mutuamente esclusive, cioè tali da non poter essere vere contemporaneamente, e completamente esaustive, senza cioè lasciare spazio per una terza parte. A titolo esemplificativo, se preso un concetto A è possibile dividerlo in due parti B e non-B, allora le due parti formano una dicotomia, dato che nessuna parte di B è contenuta in non-B e che la somma di B
e non-B fa esattamente A. Esempi di dualismi dicotomici sono: bene/male, anima/corpo, il Sé/gli altri, oggetto/soggetto, luce/tenebre.
La dicotomia più marcata delle concezioni dualiste è quella bene/male. Le principali filosofie dualistiche tendono ad identificare l’Essere con due entità universali, da cui derivano
due forze dicotomiche che danno vita alla coppia di principi dualistici bene/male. Ad esempio, alcune religioni dualistiche credono nell’esistenza di un dio malvagio creatore del mondo materiale e di un dio spirituale, da cui discende il solo bene.
Altre correnti fanno derivare dal pensiero il bene, dalla materia il male. In poche parole, esiste un principio che determina il male ed un altro principio che rende possibile il bene. Per i dualisti più moderati, i due principi sono diversi, ma compresenti nel mondo. I monisti dichiarano che la dualità è solo un’illusione.
Il monismo
Il termine monismo (o non-dualismo) si riferisce ad una concezione unitaria dell’Essere: esiste un unico principio sostanziale da cui tutto deriva. Il monismo esprime il concetto filosofico della sostanziale unità dell’Essere. Le concezioni monistiche non negano la molteplicità, ma la considerano una manifestazione “non sostanziale” di un unico principio. In occidente, il primo ad introdurre il monismo è stato Parmenide ben 2500 anni fa:

Busto di Parmenide
Nella filosofia di Parmenide, l’Essere è pensiero, ed è, pertanto, un monismo fortemente idealista.
Il monismo assume diverse forme, che possono essere ricondotte alle seguenti correnti filosofiche:
1. Il Materialismo, secondo cui solo ciò che è fisico è reale. Ogni cosa proviene quindi dal principio della materia e l’universo si esaurisce in quest’unico principio. In questo caso, il Tutto è costituito unicamente dall’universo fisico e non esiste alcun mondo immateriale o spirituale.
I materialisti affermano che l’apparente unità e indipendenza della mente è illusoria. La mente e le sue “funzioni” derivano da processi fisici.
2. L’Idealismo o mentalismo, secondo cui solo l’aspetto mentale è reale; questa è esattamente il contrario della posizione precedente. Il fisico è solo una proiezione della realtà mentale.
3. Il Monismo neutrale, dove entrambi gli aspetti fisico e mentale si possono ridurre a una sostanza o forma di energia (“Spirito”, “Brahman”, “Dio”, “Quello”, “L’uno”,“Il Sé”, “L’Assoluto”) che è al tempo stesso l’origine e il sostrato del Tutto. È importante capire che l’entità unica non è una seconda o terza sostanza, ma costituisce il principio base di tutti i fenomeni presenti nell’universo fisico e metafisico. L’aspetto mentale e corporeo sono delle manifestazione di questa unità che tutto comprende.
In sintesi, un materialista che crede alle sole leggi fisiche è monista, perché basa il Tutto su un unico principio, quello della materia. Le stesse religioni monoteistiche, che non concepiscono l’esistenza di un dio del male, sono moniste.
La tradizionali forme religiose orientali monistiche credono nell’uno come principio supremo che contiene, ed è anche Dio, mondo, spirito, materia vivente e non vivente. In sostanza, nelle varie correnti monistiche può variare il principio supremo, ma ogni cosa discende da un’unica entità. Così anche bene e male non scaturiscono da due essenze eterogenee, ma l’origine è comune e la differenza tra i due è solo di grado e nella manifestazione sul nostro piano di realtà. Ciò che a noi appaiono come bene e male non sono altro che manifestazioni di un’unica realtà, due facce della stessa medaglia. Nel monismo di tipo teologico-religioso, Dio è impersonale e si identifica con il Tutto. In realtà, non c’è proprio distinzione tra io, te, l’uomo, l’animale, la pianta, Dio, l’universo: esiste solo un grande oceano che non può essere smembrato in tanti pezzettini. Ne consegue che non si può identificare una sorgente di solo bene e una sorgente di solo male.

Sconfitta | William Blake – L’archetipo del Creatore è un’immagine ricorrente nel suo lavoro. Qui Blake dipinge il demiurgo Urizen raccolto in preghiera mentre contempla il mondo che ha creato.
Per il monista la molteplicità non esiste. A noi sembra molteplicità solo perché abbiamo una visione limitata: se riuscissimo a cogliere l’unità dell’Essere, vedremmo soltanto un’infinità equanime in cui non vi sono distinzioni. La comprensione della realtà, per il monista autentico, non è né scientifica né prettamente mentale, ma piuttosto consiste in un ineffabile ed indescrivibile stato di realizzazione superiore. Infatti, non è possibile esperire e descrivere la non-dualità in maniera oggettiva (perché sarebbe in sé un atto dualistico di relazione soggetto-oggetto o osservatore-osservato); è possibile però cercare uno stato soggettivo di consapevolezza non-dualistica, mediante percorsi filosofici, religiosi e mistici come ad esempio lo yoga, la meditazione e la teologia mistica cristiana.
I sistemi religiosi più evoluti si dichiarano monisti. ricordiamo però che non è possibile uscire dal dualismo attraverso il linguaggio. Nonostante ciò, una parte della teologia cristiana medievale e alcuni sutra buddhisti tentano di superare la logica degli opposti attraverso la congiunzione di un’affermazione con la sua negazione. In altre parole, viene utilizzata la scrittura per dare l’illusione di superare il dualismo. In verità, questo è solo uno stratagemma linguistico che però non ha un reale valore semantico.
Il tentativo è intrinsecamente fallace perché il linguaggio si basa sulla relazione dualistica soggetto/oggetto e sulla dicotomia affermazione/negazione. Riassumendo, possiamo dire che, anche se il dualismo potesse essere superato attraverso un’esperienza mistica o spirituale, la scrittura ed il linguaggio non saranno mai in grado di descrivere uno stato non-duale: “Quanto più alziamo lo sguardo verso l’alto, tanto più i discorsi vengono contratti dalla contemplazione delle realtà intellegibili; così pure anche ora, nel momento in cui penetriamo nella tenebra superiore all’intelligenza, noi troviamo non più discorsi brevi,
ma la totale assenza di parole e di pensieri.” (Dionigi Areopagita).
La teologia positiva arriva a Dio tramite un progressivo accrescimento di tutte le qualità finite degli oggetti. Quella negativa procede per decrescita e diminuzione fino ad eliminare ogni contenuto dalla mente, poiché Dio, essendo superiore a tutte le realtà possibili ed immaginabili, non è identificabile
con nessuna di esse. La teologia negativa giunge alla conoscenza, non attraverso la scoperta del vero, ma mediante lo svelamento del falso. La verità non può essere colta in modo
positivo, perché anche il soggetto conoscente non può oggettivare completamente l’oggetto conosciuto. Dunque non si può trovare la verità, ma solo indicare il “non vero”. L’unica unione possibile tra la teologia negativa ed affermativa è il silenzio mistico. La teologia mistica propone il superamento del dualismo abbattendo sia la teologia affermativa che quella negativa, le quali devono cedere il passo all’assoluto silenzio, quale eco dell’impenetrabilità dei misteri di Dio.
Alcune contrapposizioni dualistiche che vengono utilizzate da correnti che si dichiarano non-duali sono: compassione estrema/intransigenza, bene/male, pace assoluta/guerra, illuminato/ignorante, libero/schiavo, anima/corpo, carne/non carne.
Senza entrare nei dettagli, questo tipo di concetti dicotomici sono alla base di molte filosofie orientali. Ad esempio, il concetto di buddhittà si contrappone in modo dicotomico a quello di ignoranza. Il Buddha è perfettamente illuminato e non viene sporcato da alcuna macchia di ignoranza. L’uomo normale, invece, è prigioniero della sua ignoranza e non ha alcuna traccia di luce nella sua essenza. La via tracciata da
Buddha è l’unica che conduce alla liberazione finale. Ma già il concetto di liberazione finale presuppone uno stato di prigionia che esclude qualsiasi libertà. Contrariamente a ciò, il monista non dovrebbe vedere una distinzione netta tra uno stato di liberazione spirituale e la prigionia nel mondo dei
sensi. Gli uomini potrebbero sì avere gradi di conoscenza differenti, ma non “stati” mutuamente esclusivi. Questo per dire che alcune correnti del Buddhismo, seppur affermano di essere non-duali, in realtà sono dualiste. Anche in occidente, il Cristianesimo ha sempre faticato a porsi come sistema monistico perché se Dio è la causa di tutto, non si spiega il male da dove salta fuori. Nel Vangelo è presente anche Satana e, pertanto, sarebbe stato opportuno accettare un dualismo teistico moderato. Al contrario, per risolvere il problema del male, la colpa è stata gettata completamente sull’uomo, il peccatore.
In sintesi, un monista non vede mali assoluti nel mondo. Egli è equanime e capace di guardare al mondo in tutte le sue sfumature graduali, senza cadere nella trappola degli estremi dicotomici. Prendiamo – ad esempio – in considerazione il pacifismo estremo ed il vegetarianismo, ideologie tipiche di alcune culture orientali. La compassione ed il pacifismo, portati all’estremo, sono concetti limite che escludono la possibilità di combattere, indipendentemente dalle condizioni che causano il conflitto: la pace esclude in modo dicotomico la guerra, siamo nel dualismo. Di fronte al dilemma “carne o non carne?” un monista potrebbe affermare che tra una persona che mangia carne tutti i giorni ed un vegano c’è una persona moderata che mangia la quantità di carne di cui ha realmente bisogno. Prendiamo gli Indiani (quelli d’America) che nel loro amore per la natura accettavano le leggi di natura, cercando di mitigare i danni che la natura stessa gli imponeva di provocare per nutrirsi. Non è peccato cacciare il bufalo, il peccato è prenderne una quantità maggiore di quella di cui hai realmente bisogno. ovviamente, in questa sede non mi propongo di discutere se sia giusto o sbagliato il pacifismo estremo (o l’essere vegetariani), sto solo evidenziando che un
monista non suddivide le azioni in due gruppi chiamati rispettivamente “azioni intrinsecamente buone” e “azioni in-
trinsecamente malvagie” dato che:
“Le tenebre sono soltanto una minor luce, il male è solo un minor bene, l’impurità era maggiore purezza.”
Questo è un classico concetto monista, in cui viene espressa una differenza di grado, ma non di sostanzialità. Quindi il monista vero non può escludere come male assoluto nessuna cosa.
Non può favorire nessuna cosa come bene assoluto, altrimenti ricade nel dualismo. In poche parole, dovrebbe essere equanime rispetto al bene ed al male.
Finora abbiamo parlato della contrapposizione dualismo/monismo. Vorrei concludere il pensiero con una piccola
considerazione sui punti di forza e sulle debolezze di entrambe le correnti filosofiche. ritengo che i punti di vista che tendono verso il giusto mezzo siano quelli che propongono un dualismo moderato per quanto riguarda i concetti corpo-spirito, naturale-divino, bene-male. In un monismo stretto, tutto sarebbe giusto ed equipollente: non si potrebbe neanche parlare di bene e male, di positivo e negativo, di flusso degli opposti, di bilanciamento ed equilibrio. Lo stesso linguaggio verrebbe meno, perché, se pur qualcuno tenta di ignorarlo, il linguaggio ha le sua fondamenta nella contrapposizione negazione-affermazione e nel dualismo soggetto-oggetto. In poche parole, si tenderebbe a cadere in un bieco indifferentismo che non lascerebbe spazio alla discriminazione. Sulla sponda opposta, in un dualismo esasperato non esistono più le sfumature, i compromessi, l’unità nella diversità. Soprattutto, il processo di sintesi dialettica, che permette il “movimento statico” della vita e dell’universo, verrebbe a crollare di fronte ad una intransigenza ideologica che contrapporrebbe spietatamente e, senza possibilità di mediazione, un principio ad un altro.
Vedi anche: Dialettica