Paradossi, ne siamo mai usciti?
Questo pensiero contiene almeno un errore. Se non contenesse un errore, starei commettendo un errore dicendo che contiene almeno un errore. In realtà, posso affermare con certezza che l’errore non sussiste nel testo del presente pensiero, ma se quest’ultima affermazione fosse vera, allora c’è un errore nella frase iniziale.
In verità non siamo riusciti a risolvere tutti i paradossi. In particolare, mentre alcuni paradossi sono apparentemente irrisolvibili, altri sono effettivamente senza via d’uscita. Ad esempio, il famoso paradosso di Achille e la tartaruga, ideato da Zenone, è stato sciolto con l’applicazione del calcolo infinitesimale, scoperto nel XVIII secolo da Leibniz e Newton. Altri paradossi, come quello del mentitore (*) , sono a tutt’oggi irrisolvibili perché sfruttano la caratteristica di autoreferenzialità, o di circolarità del linguaggio. Un sistema che si riferisce a se stesso (parla di se stesso) può presentare delle anomalie di fondo. I paradossi, che in termini più tecnici sono detti antinomie, hanno avuto un duplice ruolo nella storia della conoscenza: da una parte sono stati utilizzati per mostrare che il linguaggio e le capacità conoscitive umane hanno dei limiti intrinseci e, dall’altra, i logici e gli scienziati li hanno sfruttati per confutare le teorie dei loro illustri colleghi. Esistono diversi tipi di paradossi. Il paradosso di Achille e la tartaruga è un paradosso negativo. Questa tipologia di paradossi viene usata come dimostrazione per assurdo della falsità di un’ipotesi di partenza. In particolare, Zenone tentava di difendere l’idea parmenidea dell’illusorietà del movimento.
Parmenide sosteneva, infatti, che non esiste il movimento. Sull’altra sponda, Eraclito affermava che tutto è fluire e movimento. Nessuno dei due ha “vinto” definitivamente, però abbiamo compreso che il paradosso di Zenone era irrisolvibile perché ai greci mancavano gli strumenti matematici per risolverlo.
un altro tipo di paradosso è quello retorico, che deriva dal tipico ragionamento sofista che vuole dimostrare la correttezza di un’affermazione e del suo contrario. Ad esempio, Protagora affermò che la malattie è un bene e un male. Infatti per il malato è un male, ma per il medico che prende i soldi è un bene. Tali paradossi venivano utilizzati dai sofisti per dimostrare che tutto è relativo e che non si può comprendere la differenza tra bene e male.
Perché le antinomie e i paradossi hanno sempre attirato l’attenzione dei filosofi e degli scienziati?
Il problema principale dello sviluppo della conoscenza umana è, ed è sempre stato, quello di eliminare le contraddizioni e le componenti psicologiche dal linguaggio tecnico di ogni scienza (umanistica o naturale che sia). L’obiettivo ideale sarebbe quello di rendere la conoscenza un “calcolo”. Ricordiamo Leibniz:
“Di conseguenza, quando sorgeranno controversie fra due filosofi, non sarà più necessaria una discussione, come [non lo `e] fra due calcolatori. Sarà sufficiente, infatti, che essi prendano in mano le penne, si siedano di fronte agli abachi e (se così piace, su invito di un amico)
si dicano l’un l’altro: Calculemus!” (M. Mugnai, Leibniz e la logica simbolica. Scuola aperta, Sansoni, 1973.)
Leibniz andava alla ricerca di una caratteristica universale che rendesse conto della corrispondenza tra realtà, linguaggio e pensiero, e che fosse capace di ricostruire in modo perfetto la relazione tra le cose del mondo e tutte le loro possibili combinazioni. Egli voleva costruire una scienza universale da cui potessero essere dedotte tutte le altre scienze, come istanze specifiche di quella universale. Da lì in poi, i matematici ed i logici si sono affannati per tentare di costruire un sistema logico perfetto, che permettesse perlomeno di basare l’intera matematica sulla logica. Il logicismo è il tentativo di ridurre la matematica ai concetti ed alle regole della logica. Se l’obiettivo fosse stato raggiunto, si sarebbe potuti passare alle altre scienze della natura e, infine, estendere tale metodo alla filosofia ed alle scienze umane. ogni scienza sarebbe diventata un’applicazione specifica delle leggi universali della logica e, per questo, certa, rigorosa ed indiscutibile. In realtà dopo più di duemila anni ci siamo resi conto non potremmo mai costruire un sistema (per quanto rigoroso) in cui ogni minima parte sia dimostrabile secondo le metodologie della logica classica.
Dopo secoli di ricerche, che hanno visto protagonisti i più grandi filosofi di orientamento logicistico (ricordiamo Frege, Russell e Whitehead ) sembra che tale obbiettivo sia stato definitivamente abbandonato con il teorema di incompletezza (o di indecidibilità) di Göedel (1931). Esso sancisce l’incompletezza di qualsiasi sistema logico su cui fondare una scienza.
In tale sistema esisteranno sempre proposizioni che non sono dimostrabili dal punto di vista logico-formale. Ovviamente, ciò non significa né che sia tutto da buttare, né che la logica perda il rigore che l’ha sempre caratterizzata. D’altro canto, non si può neanche ignorare un risultato che pone dei limiti invalicabili alla pretesa di fondare il sapere umano sulla sola logica. I teoremi di Göedel hanno infatti definitivamente vanificato il tentativo di derivare l’intera conoscenza dalla sola logica. In pratica, la conoscenza ha detto un secco “no” ai tentativi di comporre tutto il sapere umano da un’unica scienza.
Altri esempi di paradosso
Un villaggio ha tra i suoi abitanti un solo barbiere. Egli è un uomo ben sbarbato che rade tutti e unicamente gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Se i fatti stanno in questo modo sorge immediatamente la domanda: “Chi rade il barbiere?”.
(Russell – Paradosso del barbiere)
Qui ci sono tre enunciati falsi.
a. 1+1=2
b. 2:2=3
c. 5+2=7
d. 13-3=9
e. 27:3=9
Gli enunciati falsi sembrano essere due, b e d. Quindi l’affermazione “Qui ci sono tre enunciati falsi” è falsa e costituisce – così, il terzo enunciato falso. Ma se gli enunciati falsi sono tre, allora è vera!
Paradosso del mentitore
*Io sto mentendo.
se stessi mentendo, starei dicendo la verità e quindi non potrei mentire
se stessi dicendo la verità, starei mentendo, e quindi non potrei dire la verità
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