Quello che è successo in Francia è terribile. Ma perché lo abbiamo così a cuore?
Per un senso intimo e insaziabile di giustizia che ci viene da dentro?
Quante sono state le vittime degli attentati di Parigi tutti lo sanno.
Quante sono le persone uccise tutti i giorni dai guerrieri dello Stato Islamico (IS) in territorio mediorientale?
Quante sono le vittime nelle file dei Kurdi che stanno combattendo sul territorio contro i guerrieri dell’IS, mentre noi mandiamo i droni (le macchine senza paura)?
Quante sono le vittime civili e innocenti fatte quotidianamente dalle nostre bombe intelligenti in Medio Oriente?
Perché nessun giornalista o trasmissione televisiva dà questi numeri?
Si sentono discorsi assurdi, come se i morti per terrorismo fossero diversi dai morti provocati dalle guerre “convenzionali”.
Nella nostra società di burocrati, protocolli e standard riusciamo a burocratizzare anche la morte.
I morti sono sempre morti, il terrorismo è il modo di fare la guerra dei più deboli militarmente. Dal punto di vista umano non c’è differenza tra un morto provocato dalle armi più sofisticate di un esercito “convenzionale” e un morto provocato da un kamikaze suicida.
Forse non è la sete giustizia che ci spinge a provare empatia nei confronti dei parigini, ma solo la paura che quello che è accaduto a loro, possa accadere anche a noi.