Eutanasia, morte e sofferenza a confronto

Ora che la tempesta mediatica ha fatto il suo corso possiamo analizzare in modo razionale il problema dell’ eutanasia. Non ci riferiremo a casi particolari per rispetto delle famiglie delle vittime. Tale decisione non è motivata dall’indifferenza, ma dal rispetto. Non bisogna parlare di persone singole, ma di un problema generale. In secondo luogo per rispetto di tutte le persone che muoiono nella solitudine e nell’indifferenza di giornalisti e politici che, solo per alcuni decessi, sono capaci di dichiarasi sofferenti e addolorati fino a profondersi in atteggiamenti chiassosi e stucchevoli. Senza generalizzare, alcuni modi di fare giornalismo e politica danneggiano la società.

Per prima cosa, dal punto di vista pragmatico,chiedo ai politici italiani: per quale ragione le persone muoiono di malattia? Forse perché non abbiamo le cure?
E allora, dove sono i politici italiani quando bisogna fare ricerca?
Come mai non finanziano la ricerca? Come mai la ricerca italiana è allo sfacelo? Dove sono i giornalisti italiani quando bisogna parlare di questa grave mancanza?

Iniziamo a parlare di eutanasia. C’è una cosa peggiore della morte: la sofferenza. Nessuno dovrebbe costringerci a rimanere anni su un letto a vegetare. Nessuno dovrebbe costringere i nostri parenti e i nostri amici, ad assistere a questa mortificazione della vita.

Mi ricordo un evento personale, che nulla ha a che vedere con le sofferenze che la medicina senza etica ha procurato ad altre persone, ma che, comunque, mi ha colpito. Mia nonna aveva 82 anni, ed era in discreta salute. Ad un certo punto, si ammala gravemente di pancreatite. La ricoverano all’ospedale. Tuttavia,dopo qualche settimana di travagli e un’operazione, i medici ci dicono che non c’è più nulla da fare. Allora, una scelta logica sarebbe quella di sospendere le cure ed evitare che una persona di più di ottant’anni, che non ha aspettative di vita, soffra inutilmente. Invece,sono stato costretto ad osservare, da dietro un vetro, mia nonna che giaceva in una stanza di ospedale, attaccata a mille tubi e tubicini per mesi: della sua estrema vitalità e prontezza di spirito rimaneva solo un braccio che si muoveva a malapena, quando le parlavamo da una specie di citofono. Lei, ovviamente, non poteva rispondere,aveva la bocca piena zeppa di altri tubi. La sua bocca era così tirata e livida che sembrava dovesse strapparsi da un momento all’altro. Il suo corpo faceva spavento: era un unico gigante ematoma e la pelle iniziava a sgretolarsi sotto il peso di ore immobili passate su un letto, in una camera sterile e senza affetto, senza calore umano, senza alcuna briciola di amore. Insomma, così come nella vita, vorremmo stare vicini ai nostri cari anche nell’ultimo passo dell’esistenza.

Mi sono chiesto da ragazzo – e me lo chiedo oggi – che senso ha tutto questo? Amare la vita non significa accettare anche la morte? Non è meglio avere una morte serena, tra le mura domestiche, tra le braccia dei figli, dei nipoti o dei genitori? Perché prolungare sofferenze inutili?
Chi si può arrogare il diritto di sapere cos’è giusto fare, di scegliere per noi?
Non dovremmo neanche parlare di eutanasia, ma di grantire il rispetto dei pazienti anche vicino alla morte.

Parlano tanto di natura, ma non si rendono conto che la natura non c’entra per nulla. Dato che l’uomo ha deciso di uscire dallo stato naturale, e la natura avrebbe condotto i malati in stato vegetativo a morire naturalmente, ed in poco tempo. Non è l’uomo che fa la scelta di ucciderli sospendendo la cura, ma è l’uomo che sceglie di torturare inutilmente un essere umano che non ha speranze, oppure, in altri casi, che ha scelto liberamente di porre fine alla sua sofferenza.

Parlano di Dio, e, non si rendono conto della presunzione dei loro pensieri che vorrebbero elevarsi alle vette divine: si arrogano il diritto di dire con certezza inconcussa la scelta che Dio avrebbe fatto qualora Gli si fosse presentato questo problema. Si dicono Cristiani e non credono. Non credono che il Padre li accoglierà tra la sue braccia: sono più scettici degli scettici. Hanno più paura di chi non crede nella vita ultraterrena: non solo si attaccano alla vita terrena, ma si attaccano anche ad un’esistenza che non è neanche un’opaca immagine di quest’ultima. Nella Bibbia leggiamo: “Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi giusti”.

Parlano di stare vicini alle famiglie, ma non si rendono conto che, spesso, viene fatta la volontà del padre (quello terreno) e che solo il silenzio può rispettare la sua scelta.

Se c’è da fare una scelta, io scelgo la vita,non la tortura. Pur ammettendo che la questione sia troppo delicata per decidere della sorte altrui,la scelta relativa all’eutanasia andrebbe lasciata all’individuo ed ai suoi parenti più prossimi. Nessuno deve costringerci a rimanere anni su un letto a vegetare, a meno che siamo noi a sceglierlo spontaneamente.

E perché non la morte, piuttosto che una vivente tortura?
(William Shakespeare)
« Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. […] Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. »
(Piergiorgio Welby)

15 Comments

  1. Luca Roberto 20 Febbraio 2009
  2. nabladue 21 Febbraio 2009
  3. Paolo 22 Febbraio 2009
  4. nelly 22 Febbraio 2009
  5. Antares666 23 Febbraio 2009
  6. a 24 Febbraio 2009
  7. Valeria 24 Febbraio 2009
  8. AzzurraPensiero 24 Febbraio 2009
  9. supertelegatton 24 Febbraio 2009
  10. nabladue 25 Febbraio 2009
  11. piccolo-uomo 26 Febbraio 2009
  12. nabladue 28 Febbraio 2009
  13. peppe 28 Febbraio 2009
  14. nabladue 28 Febbraio 2009
  15. piccolo-uomo 1 Marzo 2009

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