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La morte di Socrate

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La morte di Socrate

Socrate, durante il processo in cui era stata richiesta la sua condanna a morte, scarta la possibilità di difendersi con discorsi adulatori e persuasivi, sostenendo che bisogna rimanere fedeli a se stessi, in qualsiasi condizione. Rifiuta, infine, che la sua pena venga commutata nell’esilio o nell’ obbligo di lasciare la filosofia.

Ma avrebbe ancora una possibilità di salvarsi.

Per tradizione, la condanna non poteva essere eseguita fintanto che la nave sacra delle feste Delie, partita il giorno precedente a quello del processo, non fosse tornata ad Atene.
Nel Critone, Platone ci fa capire che alcuni amici tentano di preparare la sua evasione, riuscendo a convincere le guardie penitenziarie. Ma l’ostacolo principale alla fuga è Socrate stesso. Alle sollecitazioni dell’amico, che lo invitavano a riflettere sulla vacuità sull’accusa e sull’ingiustizia subita, Socrate ribatte che non si deve mai compiere ingiustizia, anche se la si subisce:

“Neppure se si subisce ingiustizia si deve rendere ingiustizia, come, invece crede la gente, perché per nessuna ragione si deve commettere ingiustizia.”

E sottolinea che il suo dovere è rispettare il verdetto emesso, e venendo meno all’ ubbidienza dovuta alla sua città, compirebbe ingiustizia. Poiché ogni uomo è uomo nella società e non c’è giustizia senza società.
Bisogna evidenziare che Platone renderà queste istanze dei punti fermi della sua filosofia. Essi divengo dei precetti universali, ma, abbiamo detto in altre occasioni, che la filosofia di Socrate non ha punti fermi (eccetto il “conosci te stesso”).

Quindi sarebbe meglio dire dire che Socrate, in quella particolare situazione, ha scelto il dovere, ma nulla vieta di pensare che, in situazioni diverse, con protagonisti diversi ed in epoche diverse avrebbe affrontato il problema compiendo una scelta differente. I suoi non sono mai precetti assoluti, ma particolari, che variano di caso in caso.

La sua motivazione profonda deriva dalla certezza che la sua morte sarà più "demoniaca", di quanto non lo è stato lui stesso. Sarà una spina nel fianco della città, che costringerà, prima o poi, gli ateniesi a guadarsi dentro, ad iniziare a mettersi in discussione.
A distanza di un mese dal processo, viene eseguita la condanna.

Nel Fedone di Platone, viene messa in scena la morte di Socrate, in pagine di straordinaria tensione emotiva ed umana.
Fino all’ultimo momento, Platone ci mostra un Socrate sereno ed impegnato ancora in discorsi e dimostrazioni e completamente padrone delle sue emozioni:

“Molti di noi che fino allora, alla meglio, erano riusciti a trattenere le lacrime, quando lo videro bere, quando videro che egli aveva bevuto, non ce la fecero più; anche a me le lacrime, malgrado mi sforzassi, sgorgarono copiose e nascosi il volto nel mantello e piansi me stesso, oh, piansi non per lui ma per me, per la mia sventura, di tanto amico sarei rimasto privo. Critone, poi, ancora prima di me, non riusciva a dominarsi e s'era alzato per uscire.

Apollodoro, poi, che fin dal principio non aveva fatto che piangere, scoppiò in tali singhiozzi e in tali lamenti che tutti noi presenti ci sentimmo spezzare il cuore, tranne uno solo, Socrate, anzi: «Ma che state facendo?» esclamò. «Siete straordinari. E io che ho mandato via le donne perché non mi facessero scene simili; a quanto ho sentito dire, bisognerebbe morire tra parole di buon augurio. State calmi, via, e siate forti”.»
Fedone - Platone

La sua, è una visone rasserenata della morte. Non c’è passione, ma accettazione serena. La sua umiltà lo salva anche in questo caso: come posso soffrire per la morte se, in fondo, non so che cosa sia?

La morte di Socrate è immersa in un una serena tragicità.

L'accettazione pacifica delle morte da parte di Socrate mostra l’ aporia morale della filosofia socratica in tutta la sua essenza: il contrasto tra l’individuo e la società, tra il pensare ed il persuadere, tra la politica e saggezza, ma in particolar modo, tra l’ essere e il non essere.

Qui si conclude la storia di un uomo che è stato pungolato da Dio, e che sempre resterà, pungolo per l'umanità.

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