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Le scienze naturali e il metodo scientifico

Le Scienze Naturali (Naturwissenschaften) hanno determinato nel loro sviluppo il passaggio dal mondo del pressappoco, al mondo della precisione e del rigore. Le peculiarità e le caratteristiche più proprie delle scienze naturali (anche se sarebbe opportuno fare una distinzione tra le varie discipline), sono rintracciabili nel loro distacco dall’emotività umana e nella possibilità di disporre della matematica.
L’ingresso delle discipline matematiche nelle fisica, ha permesso di creare dei modelli che rendessero conto di fenomeni naturali, con la possibilità di effettuare previsioni rigorose e precise misurazioni. Una componente fondamentale per lo sviluppo del metodo scientifico è stata l’introduzione del metodo sperimentale da parte di Galileo Galilei, il primo ad aver combinato l’uso di teoria ed esperimento. Se guardiamo alla fisica aristotelica, ad esempio, dobbiamo constatare che nessuna pagina di quella trattazione è sopravvissuta dopo l’avvento della scienza moderna. Il rifiuto dell’empirismo da parte della cultura filosofica greca, ha vanificato tutti gli sforzi puramente mentali, orientati ad una spiegazione dei fenomeni naturali. All’opposto, l’estremo empirismo di Leonardo Da Vinci (anche se lo stesso riconosceva grande importanza alla matematica) lo ha portato ad ideare innovazioni tecnologiche che non avrebbero mai potuto essere realizzate con le competenze tecnologiche ed i materiali dell’epoca. Quindi, facendo un salto temporale di circa XIX secoli, si passa dalle idee pure di Platone alle invenzione futuristiche - ma a volte un po’ bizzarre - di Leonardo Da Vinci. Il primo uomo che ha condotto alla riconciliazione tra esperienza e idea pura è stato Galileo Galilei. Il ragionamento che ha condotto Galileo alla formulazione di un nuovo modo di approcciare i problemi è probabilmente scaturito dalla domanda: come posso trovare nuove leggi? come posso valutare se una teoria è giusta o sbagliata?

Semplicemente osservando la realtà, o meglio, interrogandola. Quindi lo scienziato non è più un osservatore passivo, ma interviene attivamente creando delle condizioni naturali che siano più comprensibili della stessa realtà. E dopo aver ricavato le leggi, possiamo di nuovo interrogare la natura per sapere se le leggi teoriche ricavate sono corrette. Così, Galileo per costruire le sue teorie si fa aiutare dalla natura. Ciò nondimeno, è lui stesso che aiuta la natura realizzando il piano inclinato che gli permette di studiare il fenomeno della gravità in maniera più efficace ed interpretabile, isolando solo una parte della totalità dei fenomeni presenti nella caduta di un grave. Non è più la realtà che si deve adattare al pensiero, ma è il pensiero che deve aiutare la realtà a “parlare” il linguaggio che gli è proprio. E in modo affascinante, quanto misterioso, sembra che anche i fenomeni fisici parlino un linguaggio matematico.

Con l’introduzione del nuovo metodo scientifico, i risultati non tardano ad arrivare e da questo periodo in poi sarà un susseguirsi di scoperte, confutazioni ed integrazioni, che porteranno le scienze della natura ad un indiscutibile progresso, in grado di trainare anche lo sviluppo della tecnica. Il nuovo metodo scientifico è basato sull’induzione. Il metodo induttivo è un procedimento che partendo da singoli casi particolari cerca di stabilire una legge universale (o come lo ha definito Aristotele, "il procedimento che dai particolari porta all'universale" (Topici, I, 12, 105 a 11)). A esempio,secondo una legenda, Galileo salì in cima alla torre pendente di Pisa. Successivamente, dalla sommità della torre fece cadere simultaneamente delle sfere pesanti e leggere, e notò che arrivavano a terra circa nello stesso istante. Egli così dimostrò, contrariamente a quanto sostenevano gli antichi, che oggetti ("corpi") pesanti e leggeri cadevano con la stessa velocità. Senza entrare nei dettagli della teoria formulata da Galileo, questo aneddoto mostra come lo scienziato partisse da osservazioni per ricavare le leggi generali.
Per di più, con l’esperimento del piano inclinato, Galileo modificò radicalmente l’idea aristotelica del moto, concentrando l’attenzione sull’accelerazione, uno stato del moto ignorato da Aristotele e dalla maggior parte dei suoi successori. Il piano inclinato è un modello approssimato della realtà. In questo senso. permette di trovare cosa succede nel caso della caduta naturale dei corpi,eliminando o riducendo i fenomeni collaterali (quali attrito, vento,…) e permettendo di effettuare precise misurazione. Un’altra importante caratteristica di questo tipo di esperimenti è la possibilità di ripeterli. Infatti, possono essere replicati da altre persone sia in luoghi che in tempi differenti. Anche noi, siamo in grado di effettuare gli stessi esperimenti che ha condotto Galileo e troveremmo gli stessi risultati.
Il successo delle scienze naturali sembra indiscutibile ed il progresso scientifico appare inarrestabile, ma il tempo, come sempre, mette a dura prova tutto quello che incontra: anche il metodo scientifico non sembra immune da critiche ed insuccessi. Il primo duro colpo alle ambizioni delle scienze naturali è stato inferto da David Hume (1711-1776), che ha messo in discussione il principio di induzione.
Bacone aveva fondato la sua epistemologia riprendendo le idee dei pensatori italiani del '400. Nel Novum Organum (1620), Bacone costruisce il primo trattato di logica induttiva dove vengono esaminati i metodi da utilizzare nelle induzioni teoriche. Attraverso la raccolta dei dati, la loro catalogazione, interpretazione e analisi si procede infine con l’induzione che permette di effettuare delle previsioni. I controlli serviranno poi a verificare la correttezza delle stesse.
Hume mette in dubbio lo stesso processo d’induzione: non è possibile trovare alcuna connessione necessaria tra causa ed effetto, ed il loro legame non è razionale, ma puramente psicologico. La supposizione che si basa sull’assunto “necessariamente il futuro deriva dal passato”, non ha alcuna argomentazione dimostrativa, ma deriva solo dall’abitudine.

Ad esempio potrei andare alla ricerca di tutti i corvi del pianeta e catalogarli in base al colore, ottenendo:
il primo corvo osservato è nero
il secondo corvo osservato è nero
.
.
.
il millesimo corvo osservato è nero
tutti i corvi sono neri

I mille casi osservati, per Hume, non sono sufficienti a conferire all’induzione per enumerazione un carattere di validità universale. Per avere la certezza dovrei trovare tutti i casi (teoricamente infiniti) che riguardano la legge da inferire. Ma ciò non sarà mai possibile, e nessuno mi potrà garantire che, domani, alzando gli occhi non osservi un corvo bianco.

“Si sono tentate molte vie per rispondere alla sfida scettica di Hume, ma a tutt’oggi il problema resta insoluto, tanto che alcuni autori scrivono che essa è lo scandalo della filosofia. Tuttavia, se scindiamo in due questioni distinte il problema della giustificazione dell’induzione [su cui si basa il metodo scientifico], una che riguarda la procedura induttiva basata sul presupposto dell’uniformità della natura e l’altra che si occupa dei metodi induttivi, ovvero del grado di uniformità della natura, vediamo che è possibile salvaguardare la razionalità delle nostre inferenze induttive pur lasciando aperta la possibilità all’errore.

E’ Kant che, attraverso la giustificazione trascendentale del principio d’induzione, effettuerà il tentativo più forte di giustificazione del ragionamento induttivo. Tuttavia, nemmeno la spiegazione kantiana riuscirà a giustificare un
metodo induttivo specifico. L’argomento a cui Kant si appella per giustificare il principio di induzione attiene all’uniformità della natura: “Bisogna necessariamente presupporre ed ammettere una tale unità, perché altrimenti non si troverebbe una generale connessione delle conoscenze empiriche da formarne un’esperienza totale […]. Senza questa supposizione non avremmo alcun ordine della natura secondo leggi empiriche e per conseguenza non vi sarebbe nessuna guida per l’esperienza e la ricerca in tanta varietà di leggi stesse […]. Senza ciò, noi non possiamo, con l’uso del nostro intelletto, estendere la nostra esperienza ed acquistar conoscenza” 15. I. Kant, Critica del Giudizio, Bari, Laterza, 1963, Intr, V, pp. 23, 25-26, 27.

In breve, per il filosofo prussiano, la supposizione del principio di uniformità della natura è condizione necessaria a priori della conoscenza empirica e del metodo scientifico, poiché, se ciò non fosse, nessuna conoscenza sarebbe possibile. Negarlo significherebbe non tanto l’impossibilità di trarre dall’evidenza dei fatti una qualche conclusione, ma l’impossibilità di trarre qualsiasi conclusione, giacché in un universo privo di uniformità e relazioni tutto è lasciato al caso.“

http://www.tesionline.it/__PDF/14397/14397p.pdf

Kant è stato criticato da molti filosofi, ed il problema dell’induzione, a tutt’oggi, non ha una soluzione accettata da tutti.

Immanuel Kant, che ha riferito di essere stato svegliato dal “sonno dogmatico” proprio da Hume, si rende conto che lo scienziato non è mai passivo nella formulazione delle leggi di natura, ma interviene attivamente sui dati provenienti dalla natura ed impone egli stesso le leggi, mediante le categorie dell’intelletto. Non solo, anche la stessa percezione è fondata sulle intuizioni pure dello spazio e del tempo. Quindi, sia l’esperienza che l’elaborazione intellettiva, sono parte di processi che vedono coinvolto un soggetto che interagisce con un mondo fenomenico a lui esterno.
Le intuizione pure dello spazio e del tempo sono a priori, filtrano tutte le esperienze fenomenologiche in modo immediato. L’intelletto opera l’unificazione del molteplice, colto attraverso le intuizioni sensibili. Quindi, le categorie dell’intelletto sono le forme mediante cui vengono unificati i dati sensibili, filtrati attraverso le intuizioni pure dello spazio e del tempo.

D’altro canto, Kant stesso subisce l’influenza della certezza inconcussa delle geometrie Euclidee e della fisica newtoniana. Da quando gli Elementi furono scritti (IV-III a.c.), non erano mai stati messi in discussione gli assiomi semplici ed evidenti che erano alla base della geometria. Da poche proposizioni chiare e apodittiche si poteva ricavare tutta la geometria necessaria sia per la fisica che per le tecniche allora utilizzate.
La fisica di Newton apriva la strada ad una fiducia nelle scienze naturali e nel metodo scientifico mai pensata.
Le sue leggi erano considerate delle verità raggiunte definitivamente, a cui si dovevano aggiungere altre scoperte, ma tutte le verità newtoniane non potevano essere messe in discussione.
Tornando a Kant, pur essendosi destato dalla sonno dogmatico, è comunque rimasto in dormiveglia, considerando le leggi della geometria e la fisica newtoniana come necessarie. Di qui l’a-priori kantiano per cui le leggi della geometria sono valide quali forme dell’intelletto stesso, non potrebbe essere altrimenti. Le strutture della nostra mente coincidono con quelle della realtà. Le leggi che governano il pensiero, governano la realtà ed è per questo che la fisica newtoniana funziona, ed è anche certa ed incontrovertibile.
La stessa conoscenza matematica è possibile grazie alle intuizioni pure dello spazio e del tempo. Per Kant i giudizi matematici sono sintetici a priori e possono essere ottenuti mediante l’astrazione dall’esperienza. Essendo a priori, essi sono necessariamente veri e non hanno bisogni di essere giustificati per induzione; sono sintetici in quanto il predicato di un giudizio matematico non occorre nel soggetto.
Abbiamo già visto come i 5 postulati di Euclide fossero rimasti immuni da tutte le possibili confutazioni. In realtà il quinto postulato nel corso della storia della matematica, ha sempre creato un certo imbarazzo ai matematici, che avevano più volte tentato di ricondurlo ad uno degli altri senza riuscirci. Riportiamo le formulazioni più comuni del quinto postulato:

Se una retta che taglia due rette determina dallo stesso lato angoli interni minori di due angoli retti, prolungando le due rette, esse si incontreranno dalla parte dove i due angoli sono minori di due retti. In altre parolo, per un punto passa una ed una sola parallela ad una retta data.

La vicenda si conclude quando, Riemann (1867), getta le basi per una geometria che faceva a meno del quinto postulato e quindi della teoria della conoscenza kantiana che andava di pari passo con le geometrie euclidee e la fisica newtoniana.
Se aggiungiamo anche la scoperta di spazi metrici n-dimensionali con n > 3 e la Relatività di Einstein che demolisce l’impalcatura teorica della meccanica newtoniana (pur lasciandone invariato l’aspetto quantitativo per casi particolari della relatività) la teoria della conoscenza kantiana sprofonda con i risultati delle scienze su cui si era poggiata.
Questo ci porta a considerazioni di fondamentale importanza:

  1. Le scienze naturali si muovono con discontinuità e la loro “coscienza storica” ha messo in luce come non ci si possa mai adagiare su risultati incontrovertibili e definitivi.
  2. Viene quasi ribaltata la relazione tra scienza e filosofia. Infatti, i filosofi antichi ritenevano che la filosofia avrebbe dovuto dettare le regole e le modalità di tutte le altre branche del sapere. All’opposto,l’evoluzione del pensiero e del metodo scientifico hano dimostrato che, la filosofia ed i filosofi, risentono fortemente degli sviluppi delle scienze e ne sono ampiamente condizionati.

E' imporatante aggiungere che esistono numerosi teoremi che, anziché dare leggi nuove, dicono semplicemente “no” : affermano che un risultato non potrà mai essere raggiunto in via teorica né ora né mai. Questo modo di procedere dà comunque un senso di rigore e di certezza almeno per quanto riguarda i limiti della conoscenza: siamo consapevoli che non potremmo mai possedere una conoscenza certa, ma i nostri limiti sono definiti (a volte) in maniera definitiva.

Un esempio è il famoso teorema di incompletezza (o di indecidibilità) di Göedel (1931): ogni sistema assiomatico auto-consistente in grado di descrivere l’aritmetica dei numeri naturali ammette proposizioni logiche la cui verità non può essere né dimostrata nè confutata all’interno del sistema stesso.
Questo significa che ogni sistema logico, anche basato su numeri, non può stabilire la correttezza assoluta di alcune proposizioni né confutarla con gli strumenti del sistema stesso. Tale teorema, non afferma l’esistenza di qualcosa, ma nega la possibilità di costituire un sistema assiomatico auto-consistente che sia completamente costituito da proposizioni dimostrate logimente. Una delle più importanti ripercussioni pratiche del teorema di Göedel è stata la definitiva confutazione del progetto iniziato da Frege di basare tutta la matematica sulla logica.
Nonostante questo il metodo scientifico resta il sistema più rigoroso che abbiamo per conoscere il mondo che ci circonda dal punto di vista fisico.

Continua: Filosofia della scienza

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