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La filosofia di Wilhelm Dilthey

Gli scienziati della natura e i fisici hanno la necessità di eliminare le componenti psicologiche dalla metodologia della loro ingagine conoscitiva. Le scienze umane invece non possono prescindere dallo studio dell’uomo, senza considerare l’uomo stesso. La complessità dei meccanismi sociali, quelle insite nella stessa esistenza individuale non possono essere trattate alla stregua di un calcolo che non considera l’uomo in tutto il suo essere psicologico con desideri, volizioni, appetiti.

Wilhelm Dilthey (1833-1911), filosofo e psicologo tedesco, si trova a dover affrontare i problemi della definizione e caratterizzazione delle scienze umane (Geisteswissenschaften), tentando di renderle autonome rispetto alle scienze della natura (Naturwissenschaften). Era anche necessario epurare le scienze storiche da una visione unitaria fondata su astrazioni metafisiche, quali lo Spirito Assoluto di Hegel, che avevano imbavagliato la scienza storica in speculazioni attraenti, ma prive di valore conoscitivo.

Dilthey
(Foto di Dilthey)

Dunque i temi centrali dell’opera di Dilthey sono:

1) la ricerca di autonomia da parte delle scienze dello spirito (nella filosofia di Wilhelm Dilthey, questa terminologia indica le scienze umane) rispetto alle scienze della natura;

2) il tentativo di liberarsi da ogni vincolo metafisico;

3) non ultimo, lo sforzo di dare una base oggettiva alle scienze storiche.

Mentre la “Scuola Storica”, aveva permesso un certo grado di emancipazione nei confronti delle scienza della natura e dello scientismo, la metafisica sarebbe stata limitata, nella prospettiva diltheyana, dalla critica della ragion storica.

Ogni sguardo sul mondo ha un carattere di finitezza, in quanto è esso stesso un punto di vista storico, tra i tanti punti di vista storici.

La critica della ragion storica di Dilthey vuole eliminare le componenti che tendono ad oltrepassare i limiti che sono imposti dalla prospettiva storica stessa, in una visione “kantiana” della storia, per una sua fondazione critica. Inizialmente il tentativo di allontanare le scienze dello spirito da quelle della natura e cercare un fondamento oggettivo per le prime, viene identificato da Dilthey nella possibilità di indagare l’esperienza interna, in quanto esperienza immediata. Le Naturwissenschaften tendono a conoscere un mondo che rimarrà sempre oscuro, celato, attraverso costruzioni ipotetiche. Invece, l’esperienza interna può dare un fondamento sicuro in quanto immediata e non soggetta a spiegazione ma solo a comprensione.

Il distacco dalla Scuola Storica e dalla metafisica deve essere ottenuto mediante la fondazione del sapere su una prospettiva immanente alla vita stessa: il sapere è legato alla vita.
Dunque non è sufficiente la visione kantiana che vede il soggetto come puro soggetto conoscente, ma lo stesso soggetto va considerato in tutta la sua “umanità”.
La connessione del sapere con la vita permette di salvare le scienze dello spirito dalla metafisica e da ogni tentativo di ridurle ad applicazioni particolari e grossolane delle scienze della natura. Non solo, questo permette di recuperare quell’individualismo che le scienze della natura e la metafisica tendono a demolire; mentre l'eccessiva analiticità non considera il soggetto nel contesto in cui s'inserisce (non è un procediemento olistico potremmo dire in termini più attuali), la metafisica tende ad annegare l’individuo in un disegno complesso e complessivo, in cui scompare ogni particolarità e individualità.

Riassumendo Dilthey propone di utilizzare: l’eredità della Scuola Storica per arginare la scienza e lo scientismo, Kant per limitare le pretese della metafisica e di Hegel, la connessione tra il sapere e la vita per ampliare Kant.

Il legame della storia con la vita possiamo trovarlo nei processi psichici che costituiscono il ponte tra scienza naturale e scienza dello spirito. L’errore di separare anima e corpo può essere ricondotto a Platone che, in ogni caso, ha soltanto ipostatizzato una visione già presente nella cultura greca. Ma Dilthey si rende conto che “la vita spirituale di ogni essere umano è una parte, isolabile solo per astrazione, dell’unità vivente psicofisica”. Questa istanza oggi, alla luce dei progressi della psicanalisi e dell’avvento delle scienze cognitive rende onore alla grande intuizione dell’opera diltheyana. Un altro fattore che lega l’uomo alle scienze della natura è quello di essere posto in un ambiente naturale in cui ha luogo il suo sviluppo teleologico. L’uomo stesso quindi rimane legato alla sua natura organica in un duplice modo: costituzione della sua struttura e presenza di vita in un ambiente regolato dalle leggi di natura.

Lo studio dell’uomo nel suo contesto storico e sociale, non può, in ogni, caso prescindere da scienze quali l’antropologia e la psicologia. In particolare la psicologia risulta fondamentale per calare lo studio teorico delle discipline storico-sociali all’interno della realtà.
Ma bisogna tenere presente che la psicologia scelta da Dilthey è “una scienza descrittiva che accerta fatti e regolarità di fatti, distinguendosi nettamente dalla psicologia esplicativa, che vuole poter derivare l’intera compagine della vita spirituale da certi assunti ipotetici”. Una psicologia che non spieghi in modo ipotetico il “perchè” dell’uomo, ma si limiti a descriverne il “come”, in modo che la storia si trasformi da un ideale spirito storico, in un insieme di biografie.

L’uomo, in quanto spirito (solo per astrazione) ed essere biologico, va analizzato nella sua unità psicofisica. La sfera fisica e quella psichica si condizionano e devono essere considerate in una unità di vita. Le scienze dell’uomo, della società, e dell’individuo sono autonome rispetto a quelle naturali, ma mantengono un legame con esse: la realtà fisica è legata a quella psichica e l’ambiente in cui si sviluppa l’attività teleologica dell’uomo è quello di natura.
L’uomo non è un oggetto svincolato dalla società, non può essere studiato prescindendo da essa, come lo studio della socialità, non può prescindere da quello della società.
Il legame che Dilthey trova tra esperienza interna e studio dell’individualità andrà, nella fase più avanzata del suo pensiero, spostandosi verso lo studio dell’espressione come oggettivazione del vissuto. Mentre l’esperienza interna non può essere colta perché mobile, mutevole e instabile, nell’espressione, si ha una fotografia della dello stato dell’esperienza interna. L’espressione nasce senza mediazione dall’esperienza vissuta, e ne rappresenta una riproduzione stabile e fedele.

Nella poesia e nella letteratura, quali forme espressive di stati spirituali, l’esperienza della vita psichica è oggettivata. La psicologia deve portare a livello di scienza, ciò che poeti e letterati hanno saputo cogliere mediante l’intuizione.
Alla luce degli odierni sviluppi della psicologia, le idee di Dilthey trovano una base solida su cui potersi affermare. Ma la capacità che letteratura e poesia e le arti hanno di cogliere la particolarità dell’esistenza e la capacità che hanno di trasmettere in un linguaggio che appartiene alla sfera della comprensione, più che della spiegazione, possono essere integrate con la psicologia, ma non sostituirla in pieno. L’opera non scientifica, ma estremamente significativa di poeti e scrittori che tentano, e riescono ad indagare la vita della coscienza. La letteratura e l’arte sono espressioni della vita interiore e dell’esperienza vissuta.

Il fondamento delle scienze dello spirito si sposta dalla psicologia all’ermeneutica. L’esegesi e l’interpretazione consentono di comprendere le manifestazioni psichiche che vengono oggettivate e immobilizzate negli scritti poetici o letterari e nell’arte. È in queste forme espressive che “l’interiorità dell’uomo trova la sua espressione completa, esauriente e oggettivamente comprensibile”. La scienza ermeneutica deve fondare le regole tali da garantire un’interpretazione valida universalmente. Le limitazioni che Dilthey aveva evidenziato riguardo la pura introspezione, che non era in grado di cogliere ed esprimere la connessione psichica viene ora portato alla coscienza, analizzato e oggettivato. Solo con l’espressione diviene accessibile, ciò che l’introspezione non è in grado di rendere comprensibile. L'espressione rende intelligibili la trasformazioni appena percettibili della vita psichica, la sua continuità ed il suo decorso.

Le scienze dello spirito hanno come fondamento il circolo di esperienza vissuta, espressione ed intendere. Il processo creativo va dall’esperienza vissuta alla sua espressione, mentre la comprensione segue il percorso inverso: dall’espressione alla comprensione dell’esperienza vissuta. Così come ogni comprendere presuppone un’esperienza vissuta, ogni esperienza vissuta porta con sé la comprensione: il rapporto tra comprensione ed esperienza vissuta è di condizionamento reciproco. Il circolo dell’ ermeneutica si chiude su se stesso. Come può tale comprendere diventare oggettivo?

Le esistenze di tutti gli uomini non sono imparagonabili ed incommensurabili tra loro, ma attraverso ciò che è in comune tra la mia esperienza vissuta e quella degli altri comprendo che nella vita c’è qualcosa di universale.
Nella visione della altre possibilità di vita, l’uomo si libera dalla sua prospettiva limitata: il sapere diventa sapere sulla vita. E l’uomo stesso “si completa nella intuizione di tutte le forme dell’essere umano”. La prospettiva dell’esperienza vissuta viene ampliata attraverso l’arte, la letteratura, strumenti attraverso i quali si “fa esperienza” degli altri vissuti.

Una volta superata l’introspezione e spostata l’attenzione sull’espressione, il fondamento delle scienze dello spirito è ermeneutico. I limiti imposti dalla mutevolezza degli stati psichici interni, lasciano spazio alla “fissità” dell’espressione che si offrono ad uno sforzo ermeneutico di comprensione. La validità dell’analisi fin qui condotta si basa sulla completa continuità tra esperienza vissuta ed espressione. Nel caso in cui, il vissuto non si presentasse all’espressione così com’è e fosse in qualche modo alterato verrebbe meno la validità del riferimento espressivo. Ma per Dilthey, tra vissuto ed espressione non c’è scarto; i dati si presentano nella loro immediatezza, e “nessuna riflessione separa le profondità dell’esperienza vissuta, dalla loro rappresentazione con le parole”. Espressione ed esperienza vissuta si corrispondono integralmente, e nulla che è presente in una, è assente nell’altra. Ma la prima ha il merito di rendere la seconda comprensibile agli altri. Ed è in questa prospettiva che l’arte diventa fondamentale come espressione di qualcosa che dall’esperienza, per un’ ispirazione misteriosa, tenta di uscire dalla coscienza.

Nella “Costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito”, Dilthey prosegue l’analisi della critica della ragion storica. Emerge ancora una volta, la necessità di distinguere le Scienze dello spirito, da quelle della natura. Entrambe possono riferirsi all’uomo, ma ciò che le distingue è il differente rapporto che hanno con l’oggetto di studio. Mentre le scienze della natura esaminano solamente il lato fisico, quelle dello spirito distinguono il fisico dallo psichico. A queste ultime è richiesto di oltrepassare la sensibilità e, abbiamo visto, che l’attenzione è spostata verso gli stati psichici e, da questi, all’espressione. Proprio questo diventa il confine che Dilthey stabilisce per demarcare l’ambito delle Geisteswissenschaften: il nesso tra esperienza vissuta,espressione e comprensione, accompagnato dalla ricerca dell’universale nel particolare.

Ma come si arriva all’universale e al sapere oggettivo cercato da Dilthey?

“L’intendere presuppone l’Erleben (fare esperienza) e l’Erlebnis (esperienza vissuta) si eleva ad esperienza della vita in quanto l’intendere conduce al di fuori della ristrettezza della soggettività, nella regione della totalità e dell’universale”.

È il circolo esperienza-comprensione, comprensione-esperienza che conduce all’universale, in quanto, esperienza vissuta e comprensione sono in rapporto di reciproca dipendenza.
Ricordiamo che tutte le attività spirituali sono “leggibili” perché si manifestano nella vita fisica. È proprio il divenire sensibile dell’attività spirituale che permette allo spirito di storicizzarsi.
In tal modo lo spirito si oggettiva. Ma a differenza di quello hegeliano, puramente razionale e speculativo, si connette alla vita, diventa empirico. Attraverso lo spirito collettivo si rende possibile una comprensione della comunità, dello stato, del diritto e di tutte le manifestazioni storiche. A questo punto, avendo sostituito alla ragione universale dello spirito oggettivo, il vissuto, emergono inevitabilmente le componenti irrazionali e ci si chiede se sia possibile una “scienza storica”. Nasce l’esigenza di capire se sia possibile, in questo senso, un sapere universalmente valido e come sia possibile la conoscenza nello storicismo.

Come risolvere l’antitesi tra le tendenze irrazionali della vita ed il fine scientifico delle scienze storiche, senza cadere in speculazioni metafisiche attraenti, ma spesso prive di significato?

La risposta è nel concetto di connessione dinamica. Il mondo spirituale è costituito da una serie infinita di rapporti, ma come il singolo rapporto dipende dal tutto, così il tutto dipende dal singolo rapporto. Dilthey propone un’analogia con la determinazione del concetto di poesia. Posso individuare un’opera poetica solo se ho già un’idea di ciò che costituisce il concetto di poesia, ma per avere tale idea devo aver già visualizzato diverse opere poetiche.
La connessione dinamica rende conto di questo reciproco influsso tra totalità e singole parti del mondo storico. A differenza della connessione causale delle scienze naturali, la connessione dinamica, “produce valori e realizza scopi”. Non è un’attività teleologica, ma produttiva. Un altro importante aspetto della connessione dinamica è quello di essere chiusa su se stessa, in modo che le diverse epoche storiche costituiscano un orizzonte chiuso e ogni azione acquista il proprio significato mediante il rapporto con la totalità dell’epoca. I singoli sistemi di cultura e le singole epoche storiche costituiscono le parti della connessione dinamica della storia universale. Sebbene le singole parti conservino la propria autonomia, inserendosi in un contesto generale ed universale, sono in un rapporto di reciproca dipendenza. Compito dello storico è quello di individuare il filo conduttore unitario che regge la totalità del fluire storico.

La vera innovazione introdotta dalla nuova consapevolezza storica è quella prendere coscienza della storicità di ogni storico e di ogni punto di vista: chi scrive la storia, la fa anche. E dunque i principi della conoscenza storica devono saldarsi sull’esperienza vissuta e perdono la loro astrattezza. Emerge il contrasto tra la realtà storica e la conoscenza intellettuale ed è nella connessione dinamica che è possibile fondare la ragion storica. Una volta usciti dalle gabbie di una ragione totalizzante, come quella di Hegel, che vedeva nelle diverse epoche storiche il diverso grado di sviluppo della ragione, è la fattività irrazionale e la consapevolezza della relatività di tutti i valori storici che supportano la connessione dinamica. Le diverse epoche storiche sono legate e al tempo stesso indipendenti tra loro. Esse sono caratterizzate da valori e scopi propri a ciascuna. Da ciò scaturisce la coscienza che ogni fenomeno è di per sé, storico, perché costitutivamente finito.
Senza il vincolo di sistemi filosofici o religiosi, la vita si libera ed “esce dalle ragnatele del pensiero dogmatico”. Nel passato si cercava di capire la vita in base al mondo, ora bisogna percorrere il processo inverso: capire il mondo in base alla vita. La libertà portata dal relativismo consente all’uomo di prendere coscienza della sua storicità. Nello stesso tempo,la filosofia si allontana da imprese di tipo assolutistico e si sottomette al suo essere storico. La stessa filosofia non può perdere di vista la coscienza storica e si colloca a metà strada tra le scienze umane e quelle naturali. Come le prime cerca di dare risposta ai problemi dell’esistenza, dalle seconde vorrebbe ereditare il rigore e la validità universale. Il nuovo compito che Dilthey assegna alla filosofia è quello di sviluppare una teoria delle visioni del mondo filosofiche:una filosofia della filosofia. Da questa analisi emerge che:

“Alla variabilità delle forme dell’essere umano corrisponde la molteplicità dei modi di pensare, dei sistemi religiosi, degli ideali etici , dei sistemi metafisici. I sistemi filosofici mutano come i costumi, le religioni, le costituzioni. Essi si dimostrano cioè prodotti storicamente condizionati. Ma ciò che è storicamente condizionato è anche relativo al suo valore.”

Siamo in un relativismo profondo, che, secondo Dilthey, può curare se stesso solo attraverso un autoriflessione storica; un procedimento che sia in grado di indagare le singole strutture e metterle in relazione tra loro. Nella storia solo la funzione che ha avuto la filosofia è rimasta identica a se stessa. Filosofia che non è solo un apparato teorico, ma è connessa alla vita, al tentativo di indagare i problemi irrisolvibili dell’uomo. La filosofia diventa filosofia della vita, non è più una semplice impalcatura teorica di concetti.

La coscienza storica ha aperto la strada al relativismo e alla consapevolezza della storicità di ogni presente. Avere senso storico è riconoscere il carattere particolare della propria prospettiva di modo che ad una tradizione esclusiva, si sostituisce la possibilità di confrontare i molteplici punti di vista. La debolezza della prospettiva in seno alla coscienza storica, può essere superata partendo proprio da se stessi, come esseri storici. Abbiamo già visto come la conoscenza storica debba fondarsi sulla conoscenza della vita, in quanto ”il sapere è là, è senza riflessione legato alla vita”.

La specificità di ogni esperienza ed esistenza tende a sfuggire dalle generalizzazioni delle scienze che, per applicare tutto il loro rigore, sono costrette a trascurare le differenze specifiche che ogni vissuto unico e particolare porta con sé. In questo senso, l’ermeneutica diventa il fondamento delle scienze dello spirito: ”un’esegesi dell’ esistenza umana conservata nello scritto”.
Nella poesia l’esperienza vissuta si trasforma in espressione, mentre nel processo della comprensione dall’espressione si risale all’esperienza vissuta.

La psicologia stessa si serve della letteratura, divenendo ermeneutica.
Un' intuizione diltheyana che ha anticipato le celebri interpretazioni di Freud: Dall’Edipo Re di Sofocle alla Gradiva di Jensen. Rendiamo omaggio a Dilthey instillando il dubbio che il grande filosofo non abbia solo anticipato le teorie di Freud, ma anche ispirato le su più grandi innovazioni nel campo della psicologia.

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