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L'etica di Socrate

Sottotitolo: Intellettualismo etico o pusillanimità pratica?

Marco: «Io sono ancora dubbioso. Perché non possiamo affidarci alla ragione, invece di credere alle favole o di accontentarci delle parabole? Non potremmo giungere a delle conclusioni più rigorose, scientifiche?».
Nabla: «Socrate ci ha insegnato che il pensiero logico-discorsivo ha un limite in ambito etico. Platone ha prima accettato l’insegnamento del maestro, poi ha creduto che con la sola ragione si potesse conoscere qualsiasi cosa, ed ha sbagliato. Aristotele ha continuato su questa scia. Gran parte della filosofia occidentale è la riproposizione degli stessi problemi che però non cedono mai alla forza della ragione. Qualcuno aveva indicato la strada molti secoli fa: le teorie non valgono nulla in ambito etico, serve l’esempio umano, dobbiamo guardare al comportamento. Invece, oggi, il filosofo si rifugia in un pensiero astratto e confortante e la filosofia diviene una pura ginnastica mentale. Sui libri di scuola, si arriva perfino a dire che quello di Socrate
era un intellettualismo etico».

Marco: «Scusa se ti interrompo, ma che vuol dire questa definizione concettuale?».
Nabla: «L'intellettualismo etico è la credenza secondo cui la morale coincide con la conoscenza. In altre parole, si ritiene che la conoscenza della verità e del bene spinga automaticamente ad agire in conformità ad essi. Un uomo che conosce il vero bene, non può che agire benevolmente. L’etica può dunque essere completamente formulata attraverso la ragione. Sulla scia di tale credenza, Platone è partito per la ricerca di una definizione rigorosa dei concetti di bene, giustizia ed altre chimere irraggiungibili dal solo pensiero. Il problema è capire se sia lecito attribuire questa ideologia a Socrate. La frase che spesso viene indicata per bollare Socrate di intellettualismo etico è “nessuno fa il male in modo volontario”. Tuttavia, questa espressione significa solo che le persone agiscono il più delle volte in maniera inconsapevole: è come dire “Padre perdona loro perché non sano quello che fanno”. Essi sono come burattini che, non conoscendo loro stessi, vengono guidati nelle loro azioni da una forza nascosta ed irrazionale, di cui non sono coscienti. Per questo motivo, Socrate incitava gli ateniesi a dedicarsi alla conoscenza dell'anima. La credenza che l’Io sia solo buono è un’invenzione di Platone. Al contrario, Socrate ha messo proprio in evidenza il paradosso morale, come conseguenza del conflitto tra l’Io etico e l’Io che ricerca se stesso. Sono due strade che l’uomo deve percorrere, ma che paradossalmente si intrecciano in un eterno conflitto: “Vada come sta a cuore al dio. Alla legge si obbedisce. Difendersi si deve”.
Solo chi pensa ad una anima buona in sé può ritenere che basti la ragione. Invece, egli afferma più volte che l’anima non è buona, ma va resa buona: “Io non vado intorno facendo nient’altro se non cercare di persuadere voi, e più giovani e più vecchi, che non dei corpi, dovete prendervi cura, né delle ricchezze né di nessuna altra cosa prima e con maggiore impegno che non dell’anima in modo che diventi buona il più possibile …”

Socrate non dice mai “ragionate sulla bontà dell’anima”, bensì dedicatevi alla cura di essa: è un messaggio estremamente pragmatico, non teoretico.
Con la sua morte e l’ostinazione a non volere accettare la salvezza, egli ha giocato l’ultimo “scherzo” agli ateniesi e al mondo intero. Il suo messaggio non è politico, ma è rivolto singolo uomo ed alla singola donna, a chi si vuole liberare, a chi ha il coraggio di passare per la porta stretta.
“O miei concittadini di Atene, io vi sono obbligato e vi amo; ma obbedirò piuttosto al dio che a voi, e finché abbia respiro, e finché ne sia capace, non cesserò mai di filosofare e di ammonirvi [...] Tu che sei ateniese, cittadino della più grande città, non ti vergogni a darti pensiero delle ricchezze per ammassarne quante più possibile, e della tua anima, affinché essa diventi quanto più possibile ottima, non ti dai cura?”

Egli è il demone che ci richiama sempre verso Delfi, alla conoscenza di noi stessi, ma che allo stesso tempo ci fa sentire il peso etico di questa scelta. La filosofia è una tensione perenne, è essa stessa ironia, paradosso. Socrate stesso è l’oracolo: chi vuole vivere deve andare da lui. Ciò nondimeno, chi va da lui viene anche richiamato ai suoi doveri etici. Il contrasto è apparentemente insanabile, si paga anche con la morte, ma è l’unica rischiosa via da percorrere per poter dire “ho vissuto”, sono un uomo.
La cosa straordinaria è che la ricchezza del messaggio socratico non si esaurisce in questo. Egli ci ha insegnato anche qualcosa di molto più importante: che abbiamo dentro una scintilla divina. La contraddizione dialettica tra l’Io etico e quello personale può essere dissolta nella saggezza. E la risposta al paradosso viene proprio da Dio. Solo la goccia divina ci può aiutare a sanare il contrasto tra la morale e l’Io, tra l’artificialità del logos e la vita stessa: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi?». (Giovanni 10,11)
Tentare di chiudere Socrate in delle definizioni intellettualistiche è una follia. Egli non si è mai adagiato su un intellettualismo etico. Si è servito della filosofia solo per conoscere se stesso, non si è fatto dominare, l’ha dominata: ha trasformato il pensiero in vita, ha parlato con l’azione. I professori nelle università di oggi, si sono mai posti questo traguardo o hanno preso rifugio solo in astratte ricerche intellettuali?

I filosofi occidentali sono grandi pensatori, tuttavia le loro acrobazie teoretiche nascondono profonde contraddizioni, la loro voglia di conoscere spesso si confonde con la vanità. La filosofia ha perso la saggezza, per dare spazio alla parola. Siamo partiti da un Socrate focalizzato sull’evoluzione interiore dell’uomo, per arrivare a professori accademici che scrivono solamente grandi trattati speculativi. Bisognerebbe chiedersi se è un percorso naturale o la corruzione di un’idea.
In conclusione, il problema dell’uomo è quello di trovare un compromesso tra la morale degli schiavi e la vita stessa, tra la sopravvivenza e l’artificialità. Ce ne siamo resi conto: il paradosso morale persiste. A noi Socrate lo ha mostrato in tutta la sua essenzialità. La sua morte non è una nostra condanna, ma l’accettazione del dramma della realizzazione della vita del sé in rapporto con gli altri sé. Ciò comporta un incontro, ma, inevitabilmente, anche uno scontro».

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